Lo straordinario messaggio che il nostro amico siriano, Padre Jihad Youssef, Monaco di Deir Mar Musa ha voluto indirizzare a tutti i Siriani, cristiani e musulmani delle diverse confessioni religiose, per la convivenza fra religioni diverse nella Nuova Siria che seguirà allo sconvolgimento dei questi giorni. Un messaggio da leggere fino in fondo per comprendere lo spirito che anima la Comunità Monastica di Deri Mar Musa fondata da Padre Paolo dall’Oglio!
Fratelli e sorelle cristiane di tutte le confessioni e fratelli e sorelle musulmani di ogni confessione:
La pace sia con voi
Una Pace calda e fraterna
Per contribuire al cambiamento radicale che sta per arrivare, dobbiamo avere una visione unificata come Chiesa interconfessionale, e una forte posizione unitaria basata su un progetto coraggioso e realistico da proporre ai nuovi leader. Non dobbiamo aspettare che le cose cambino senza avere nulla da offrire e accontentarci pertanto di ciò che ci verrà offerto. Non abbiamo niente da perdere, siamo appena 250.000 cristiani in tutta la Siria, fra tutte le confessioni messe insieme. Ci rimane poco tempo, quindi dobbiamo pregare e ascoltare lo Spirito Santo perché ci ispirai e ci guidi.
La cosa più importante è che dobbiamo cambiare radicalmente la nostra mentalità nei rapporti con le autorità e uscire dalla logica dei mullah, che abbiamo ereditato dagli Ottomani e che è stata perpetuata dal regime fino ad oggi. Dobbiamo liberarci di questa immagine e offrire ciò che riteniamo opportuno per vivere in pace e gioia con il partner musulmano, in base alle nostre dimensioni e niente di più. Siamo una minoranza, sì, e dovremmo esserne orgogliosi. La Bibbia non ci descrive come ‘lievito’ nella pasta e come il ‘sale’? Non ci chiama ‘piccolo gregge’? Da questo punto di vista dovremmo prendere iniziativa nei confronti dei musulmani, chiedendo loro se ci vogliono o no in questo paese. La risposta è nota a tutti: “Sì”. Ma questo “sì” tradizionale non basta più. Se voi volete vivere con noi, o meglio se volete farci restare in questo paese con voi, voi dovete ascoltare quello che diciamo e ricevere quello che siamo, chi siamo e cosa possiamo fare insieme. Altrimenti, voi affretterete la nostra partenza.
Il rapporto prevalente tra la Chiesa e le autorità in Siria è malsano e non evangelico, e noi dobbiamo trasformarlo e rinnovarlo in una forma di interazione costruttiva, e non una mera sottomissione per poterne avere guadagni privilegi, spesso solo in apparenza, e talvolta, ma non raramente, guadagni per una comunità alle spese di un’altra. La trasformazione può avvenire cambiando il nostro atteggiamento verso l’altro musulmano, la nostra percezione di lui e soprattutto le aspettative che abbiamo nei suoi confronti. Dobbiamo avere una visione che non sia né esclusiva né accondiscendente, una visione che faccia spazio all’altro nella nostra vita. Nessun cristiano può restare in Oriente con una logica di opposizione e di competizione con Islam e con i musulmani; mettendosi contro di loro con sentimenti di odio nei loro confronti, o di restare nonostante loro (con qualche supporto interno o esterno), o anche semplicemente sopportandoli come vicinato. Il destino di un cristiano così è quello di andarsene prima o poi, questo è un vero suicidio. La sola Chiesa che può sopravvivere è una chiesa che ama l’Islam, una chiesa che è per l’Islam e non contro, una chiesa che non ha paura di essere un piccolo gregge, che non ha paura di essere un perdente nel senso del sacrificio, che è essenzialmente l’atteggiamento del croce di cui siamo tutti orgogliosi. Questo è da un lato.
D’altra parte, dobbiamo influenzare in maniere diversa il concetto di Ahl al-Dhimmah. In un modo che lo renda un’interazione dinamica e non solo con il significato di “sei sotto le nostre ali”. La storia ci insegna qualcosa di importante: l’atteggiamento tradizionale dei musulmani nei confronti dei cristiani in Oriente va dalla chiusura e dalla persecuzione crudele e umiliante fino all’apertura moderata o persino accogliente, talvolta per un breve periodo di tempo, ma sempre nel concetto di Ahl al-Dhimmah. Considerando le leggi siriane in vigore fino ad oggi (prima della libertà), i cristiani sono cittadini di seconda categoria nelle aree fondamentali. Questa è la realtà.
Tuttavia, come cristiani, non dobbiamo combattere una battaglia persa in partenza contro i musulmani o contro le leggi “razziste” che sono ingiuste nei nostri confronti. Dobbiamo invece chiedere a Dio: “Che cosa vuoi da me personalmente e da noi come corpo chiamato Chiesa, anche se è un corpo sparso e disperso?” Dobbiamo renderci conto che il cristiano ha una missione, e che lui stesso è una missione. Qual è la nostra missione oggi in Siria? Qual è il significato del nostro essere su questa terra oggi? Questa è la visione di chi riceve la vita in questo Levante come dono e missione di Dio, cioè vivere come un “piccolo resto” con il richiamo evangelico per poter vivere come lievito nella pasta. Questo non significa sottomissione ma azione; è qualcosa che solo il lievito e il sale possono fare e che niente altro può farlo al loro posto.
Quello che penso abbiamo da offrire come coraggioso e umile progetto per vivere fianco a fianco con i musulmani, è trasformare il concetto di Ahl al-Dhimmah in un segno di unicità piuttosto che di inferiorità. In altre parole, diventiamo, in un certo senso, coloro di cui ci si prende cura per il loro ruolo, la loro piccolezza e persino la loro fragilità. Un concetto basato sulla nozione che siamo uguali, e non di seconda classe, che siamo uguali ma che conosciamo le nostre dimensioni e i nostri limiti. Dopo tutto siamo pochi e incapaci di preservarci, e scompariremo se voi musulmani non ci sostenete. Dobbiamo riconoscere che senza partnership con i musulmani ci scioglieremo e moriremo. Quindi dobbiamo dire loro: “Se davvero ci volete, fate qualcosa. Non siamo una minaccia per voi e non possiamo togliere nulla al vostro cammino; al contrario, noi possiamo solo arricchirvi e lavorare con voi, affinché la nostra prosperità venga dalla vostra prosperità”. Il nostro progetto è un partenariato basato sull’uguaglianza dei cittadini, sull’incontro e sulla condivisione. Nessuno dovrebbe essere escluso dal cerchio della partecipazione. Nessuno è nemico dell’altro e nessuno ha paura dell’altro o di essere derubato dall’altro. La fede in un unico Dio, la moralità, la coscienza e l’umanità ci aiutano a partecipare e a costruire un paese dignitoso e sano per tutti. Nessuno si sente oppresso o odiato, spaventato o minacciato. Per fare ciò, è necessario costruire un concetto “civile” di cittadinanza che non sia contro la religione e la religiosità, ma che sia basato sulla fede, che rispetti la religione e garantisca minoranze religiose, etniche e linguistiche, ecc. E’ con umiltà e coraggio che vi offriamo questo tipo di partnership.
Monaco Jihad Youssef, servo del monastero di Mar Musa al-Habashi – Nebek